In questo articolo andremo a vedere qual’è la terapia antibiotica più appropriata per le 5 infezioni più comuni in ospedale. Non lasciarti ingannare dal titolo: in questa classifica non parlerò solo di infezioni nosocomiali, ma più in generale di quelle infezioni che il medico in ospedale deve saper affrontare, sia che si presentino al momento del ricovero, sia che si presentino dopo molti giorni di degenza.
E’ sicuramente importante conoscere le infezioni nosocomiali più frequenti o la statistica dei patogeni più comuni (qui troverai il link ai dati europei degli ECDC), ma quello di cui vorrei parlarti oggi sono le considerazioni e i ragionamenti che in generale mi trovo a dover fare di fronte ad un paziente ricoverato per febbre. E tale situazione vorrei proportela in diversi setting di assistenza.
Veniamo dunque alla nostra classifica, dalla quale ho escluso volutamente le infezioni virali acute, come l’influenza e le sindromi para-influenzali, per le quali non è richiesta una terapia antibiotica e la cui diagnosi può essere posta facilmente dalla clinica (iperpiressia elevata, artralgie diffuse, iperemia delle congiuntive, rinorrea, il tutto in un periodo dell’anno compatibile con l’epidemia influenzale).
Quali sono, allora, le 5 infezioni più comuni in ospedale? Partiamo dalla prima che risulta essere anche la causa infettiva più frequente in comunità! Hai già indovinato? Io credo di sì.
# TERAPIA ANTIBIOTICA – INFEZIONE 1
Qual’è la terapia antibiotica più appropriata per l’infezione 1? Ma soprattutto, qual’è l’infezione più comune per la quale il medico molto spesso rischia di sbagliare la terapia antibiotica? Ebbene sì, ci hai preso! Sto parlando della tanto odiata, quanto frequente INFEZIONE DELLE VIE URINARIE!
In realtà, se consideriamo le prime 3 cause di infezione associata all’assistenza (quindi le infezioni acquisite in ospedale) le IVU scendono addirittura al terzo posto (dopo la polmonite e le infezioni del sito chirurgico; http://www.nejm.org/doi/full/10.1056/NEJMoa1306801
Ma, come già detto prima, qui non parlerò solo di infezioni nosocomiali.
Quindi, difronte a un paziente ricoverato con sospetto di IVU e dopo aver escluso altre cause comuni come la polmonite e un’infezione intraddominale, quali considerazioni dovrò fare per scegliere la terapia antibiotica più giusta?
Tutte le volte che devo impostare una terapia antibiotica empirica, i 3 punti fondamentali che dovrò considerare sono i seguenti:
- Sede di infezione
- Battere/i più frequentemente coinvolto/i in quel tipo di infezione
- Tassi di resistenza del suddetto battere agli antibiotici
SEDE D’INFEZIONE→ BATTERE PIU’ FREQUENTE → TASSI DI RESISTENZA
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SCELTA DELL’ANTIBIOTICO
Questo schema e modo di ragionare possono essere applicati tutte le volte che si deve scegliere una terapia antibiotica empirica. Ma andiamo per ordine e torniamo al nostro caso.
SEDE: abbiamo detto che il paziente ha una IVU (per lo meno lo sospettiamo). Si faranno emocolture e urinocoltura prima di iniziare una terapia antibiotica.
BATTERE: qual’è il battere più frequente nelle IVU? E ‘ E. coli, un enterobatteriacea, un Gram negativo: quindi dovrò scegliere un antibiotico attivo verso i Gram NEG e che arrivi bene nelle vie urinarie.
TASSI DI RESISTENZA: l’antibiotico scelto dovrà inoltre essere attivo in almeno il 85% dei casi (cioè il tasso di resistenza di quel battere per quell’antibiotico dorà essere <15%). Chiaro no?
Ora, un altro elemento fondamentale per prevedere il TASSO DI RESISTENZA di quel battere in quello specifico paziente è rappresentato dai fattori di rischio per infezione da batteri MDR che quel paziente presenta. E per fare ciò è necessario chiedere al paziente se:
- è stato ricoverato nei precedenti 3-6 mesi prima dell’attuale ricovero
- ha assunto terapia antibiotica (>5 giorni) nei precedenti 3-6 mesi
- risiede in una struttura/casa di cura
- esegue trattamento dialitico
- ha eseguito medicazioni di ferite a domicilio negli ultimi 3-6 mesi
- è seguito da un’assistenza domiciliare per patologie oncologiche
Il rischio di presentare infezioni multi-resistenti aumenta all’aumentare del numero di fattori di rischio, ma i primi tre sono quelli maggiormente implicati.
Quindi arriveremmo al seguente schema:
SEDE D’INFEZIONE→ BATTERE PIU’ FREQUENTE
⇓
SCELTA DELL’ANTIBIOTICO
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FATTORI DI RISCHIO DEL PZ PER MDR + TASSI DI RESISTENZA
Per quanto riguarda il nostro paziente, la tp antibiotica empirica di scelta dovrà infine tenere in considerazione della distinzione classica tra :
IVU non complicata o IVU complicata (cioè in pz con catetere vescicale, o ostruzione, o trapiantato di rene), per il quale sarà raccomandata una durata di terapia maggiore (fino a 21 giorni). In generale, per la scelta dell’antibiotico, si potrà valutare in base a:
- NO Rischio per MDR: amoxicillina+clavulanato 2.2 g/6h
- Rischio per MDR: piperacillina/tazobactam 4.5 g/6-8h
CONSIGLIO: evitare l’impiego di ceftriaxone per la ridotta escrezione renale; evitare, se possibile, le cefalosporine e i fluorochinoloni per un aumento del rischio di colite da C. difficile e inoltre perché non attivi nei confronti di una possibile eziologia da Enterococcus spp.
# TERAPIA ANTIBIOTICA -INFEZIONE 2
La seconda tra le infezioni più comuni in ospedale, e addirittura la prima tra le cause di infezione associata all’assistenza, è rappresentata dalla POLMONITE.
Siamo quindi difronte al caso in cui dal PS ci viene ricoverato un paziente con febbre, sintomi respiratori e il riscontro di un addensamento polmonare. I ragionamenti fatti per le IVU valgono anche in questo caso. Occorre valutare:
SEDE: infezione del polmone. Dovremo scegliere un antibiotico che penetri bene nel polmone. Si faranno emocolture, espettorato se presente e si ricercheranno gli antigeni urina per S. pneumoniae e Legionella spp.
BATTERE: qual’è il battere più frequente della polmonite? Dipende da dove viene acquisita l’infezione (in comunità CAP, in struttura HCAP, o in ospedale HAP), ma in generale la causa più frequente resta S. pneumoniae . Dovrò quindi scegliere un antibiotico attivo verso i Gram POS e che arrivi bene nel polmone. Altri agenti eziologici possono essere coinvolti, a seconda delle condizioni del paziente:
- M. catarralis è frequente nelle riacutizzazioni di BPCO
- S. aureus, K. pneumoniae e P. aeruginosa sono raramente responsabili di CAP
- S. aureus può determinare CAP dopo un episodio influenzale
- K. pneumoniae può determinare CAP nel paziente etilista
- P. aeruginosa può determinare CAP se presenti bronchiectasie o BPCO
TASSI DI RESISTENZA: L’agente eziologico principale di CAP è S. pneumoniae e in Italia la resistenza di S. pneumoniae ai macrolidi è >30%, mentre la resistenza ai ß-lattamici <10%. Pertanto è sconsigliato utilizzare i macrolidi come terapia empirica nella CAP in Italia. Infine, nuovamente, valutare i fattori di rischio per infezione da batteri MDR che quel paziente presenta. Chiedere al paziente se:
- è stato ricoverato nei precedenti 3-6 mesi prima dell’attuale ricovero
- ha assunto terapia antibiotica (>5 giorni) nei precedenti 3-6 mesi
- risiede in una struttura/casa di cura
- esegue trattamento dialitico
- ha eseguito medicazioni di ferite a domicilio negli ultimi 3-6 mesi
- è seguito da un’assistenza domiciliare per patologie oncologiche
Fattori di rischio per CAP da bacilli Gram negativi:
- Precedente Tp antibiotica
- Co-morbosità polmonare
- Probabile aspirazione
- Precedente ospedalizzazione
- Residenza in struttura protetta o casa di cura
CONSIGLIO
CAP MODERATA: CAP moderata, non complicata, no co-morbosità, no fattori di rischio per MDR (non recenti ospedalizzazioni e non terapie antibiotiche nei 90 giorni precedenti): ceftriaxone 2 g ev/24 ore + azitromicina 500 mg ev/24 ore, O amoxicillina/clavulanato 2.2 g ev/6 ore + azitromicina 500 mg ev/24 ore. Durata della terapia: > 5 giorni, con >48-72 ore di sfebbramento e risoluzione dei sintomi, SO2>90% (Curr Opin Infect Dis 20:177, 2007)
Se CAP post-influenza, tossicodipendenza, CAP severa: possibile eziologia da S. aureus, aggiungere agli schemi sopra: Vancomicina 15-20/kg mg ev ogni 8-12 ore
POLMONITE CAP SEVERA: insufficienza respiratoria e necessità di ricovero in terapia intensiva. Il paziente con CAP severa potrebbe avere rischi maggiori di infezione da microrganismi MDR. Tuttavia, se non noti, e assenza di co-morbosità: ceftriaxone 2 g ev/24 ore + azitromicina 500 mg ev/24 ore, O levofloxacina 750 mg ev/die. Se CAP severa in paziente con alterazioni croniche polmonari (possibile P. aeruginosa): piperacillina/tazobactam 4,5 g/6h + levofloxacina 750 mg ev/die. Aggiungere vancomicina se si sospetta infezione stafilococcica (es. nella CAP post-influenzale o nel tossicodipendente).
# TERAPIA ANTIBIOTICA -INFEZIONE 3
Siamo all’inizio di gennaio, in piena epidemia influenzale. Hai il turno di notte in Medicina, hai già fatto 4 ricoveri e non vedi l’ora di appoggiarti 20 minuti sulla branda in guardiola. Non fai in tempo a chiudere gli occhi che ti squilla il cicalino di nuovo. Anziano di 82 anni con febbre elevata e quadro di RIACUTIZZAZIONE DI BPCO, senza evidenza di focolai polmonari in atto.
Ecco che l’annoso dubbio sull’opportunità di impostare una terapia antibiotica o meno riemerge di nuovo. Questa è uno di quelle situazioni dove, anche in letteratura, le raccomandazioni sono state per anni alquanto discordanti. Ma cerchiamo di vedere quali sono le evidenze disponibili oggi.
Circa la metà dei pazienti con riacutizzazione della BPCO hanno alte concentrazioni di batteri nelle vie aeree inferiori e spesso con la presenza di più agenti infettivi, ( Streptococcus pneumoniae, Haemophilus influenzae, Moraxella catarrhalis, Mycoplasma pneumoniae, e virus)
La terapia antibiotica andrebbe utilizzata in pazienti con malattia moderato-severa o in pazienti con malattia lieve, ma abbondante espettorato purulento.
Ma quale antibiotico? Il progressivo aumento delle resistenze antibiotiche ha spinto molti medici a scegliere antibiotici a spettro ampio come cefalosporine di terza generazione, macrolidi, fluorochinoloni. Ma che evidenze ci sono (Am Fam Physician. 2010 Mar 1;81(5):607-13.):
- Una meta-analisi ha mostrato un minor rischio di fallimento del trattamento con antibiotici ad ampio spettro rispetto ad antibiotici a spettro ristretto (odds ratio = 0,51, 95% intervallo di confidenza, 0,34-0,75), ma nessuna variazione nel tasso di letalità
- Un’altra meta-analisi non ha mostrato differenze nei tassi di guarigione clinica quando gli antibiotici a largo spettro sono stati somministrati per <5 giorni e per ≥5 giorni
- Manca uno studio di confronto tra antibiotici a spettro ristretto.
CONSIGLIO: la decisione di utilizzare antibiotici e la scelta di quale antibiotico dovrebbe essere guidata dai sintomi del paziente (es. la presenza di espettorato purulento), e dai fattori di rischio per infezione da MDR visti in precedenza e dai tassi di resistenza microbica locale. Infine, la profilassi antibiotica continua non migliora l’outcome dei pazienti con COPD.
# TERAPIA ANTIBIOTICA -INFEZIONE 4
Ci spostiamo in un reparto di Chirurgia d’urgenza, dove il medico di turno viene contattato perché un paziente operato per emicolectomia 10 giorni prima è febbrile, ipoteso, tachicardico e ha intensa addominalgia diffusa. Siamo difronte ad un quadro di INFEZIONE INTRA-ADDOMINALE acquisita in ospedale. Che fare?
Qual’è la distinzione principale tra un’infezione acquisita in comunità (CAI)e un’infezione acquisita in ospedale (HAI)?
- Le CAI: sono infezioni causate in genere da batteri multi-sensibili
- Le HAI: sono infezioni causate più frequentemente da batteri multi-resistenti (il rischio aumenta se il ricovero >5 giorni)
Quindi, tornando al nostro paziente, dovremo scegliere una terapia antibiotica che diffonda bene nella sede d’infezione, addome/peritoneo, che sia attiva verso i patogeni che albergano in quel tratto di intestino, e infine dovrò considerare i tassi di resistenza presenti nel mio ospedale (perché l’infezione è nosocomiale). Come vedi, lo schema di ragionamento è sempre lo stesso.
A livello del colon, troviamo una flora microbica prevalentemente composta da bacilli Gram NEG, anaerobi, enterococchi e candida. La terapia antibiotica che consiglierei di utilizzare in questo setting di paziente può variare, infine, a seconda della gravità/stabilità del paziente (vedi le definizioni di SIRS, SEPSI e SEPSI SEVERA, SHOCK):
PZ STABILE: piperacillina/tazobactam 4.5 g/6 h+vancomicina** 500 mg/6h (o in infusione)+ fluconazolo 600-800 mg/24h
PZ INSTABILE: meropenem 1 g/6-8h + vancomicina** 500 mg/6h (o in infusione)+ echinocandina (es. caspofungina 50 mg/die, dopo dose di carico di 75 mg)
**in alternativa: teicoplanina 10-12 mg/kg/die (dopo 3 dosi di carico 12mg/kg/12)
In tutti i casi in cui viene iniziata una terapia antibiotica empirica di associazione ad ampio spettro, ricordarsi sempre di eseguire una de-escalation una volta disponibili gli esami colturali microbiologici (da emocoltura o materiale intra-addominale).
DURATA DELLA TERAPIA: Il controllo (chirurgico) della fonte/sorgente di infezione permette di ridurre la durata della terapia antibiotica a soli 4 giorni (N Engl J Med 2015; 372:1996-2005 May 21, 2015DOI: 10.1056/NEJMoa1411162)
CONSIGLIO: nelle infezioni intra-addominali complicate, usare antimicrobici attivi anche contro gli enterococchi (le cefalosporine e i carbapenemi non risultano attivi; imipenem è attivo; i fluorochinoloni hanno scarsa attività) e per Candida spp. (nel paziente settico, instabile, un antifungino con azione fungicida, es. echinocandine, è da preferire a fluconazole che risulta fungistatico).
# TERAPIA ANTIBIOTICA -INFEZIONE 5
Il turno di guardia sta per finire e la situazione sembra tranquilla. Molti feriti, ma nessun morto, è quello che ti passa per la testa scorgendo le prime luce dell’alba dalla finestra dell’ultimo piano. Sei riuscito a dormire un’oretta e ti sei ricaricato con un caffè doppio “5 palle”. Ma la festa non è ancora finita e il cicalino suona di nuovo. La paziente al letto 3 ha di nuovo un puntata febbrile preceduta da brividi; è una signora di 74 anni, denutrita per neoplasia gastrica, in nutrizione parenterale totale e portatrice di catetere venoso centrale. Finalmente ci siamo: eccoci difronte a un caso di bloodstream infection, ovvero un’INFEZIONE DEL SISTEMA VASCOLARE O BATTERIEMIA/SEPSI
Questa complicanza infettiva, soprattutto se associata a quadro di sepsi severa, rappresenta un’emergenza vera e proprio e la tempestività con cui si inizia una terapia antibiotica appropriata è direttamente correlata all’outcome del paziente. Ovvero, in queste condizioni, prima inizio una terapia antibiotica efficace (quindi non una terapia antibiotica qualsiasi) più alte sono le probabilità di salvare il paziente.
Ma torniamo alla nostra signora: quali sono le considerazioni che dobbiamo fare per scegliere empiricamente una terapia antibiotica efficace? Questi sono i punti fondamentali da tenere presente:
- la paziente ha un’infezione sistemica severa: dovrò iniziare una terapia antibiotica di associazione, ad ampio spettro, perché non posso permettermi di sbagliare (c’é in gioco la vita della paziente)
- Preferire, almeno nelle prime fasi dell’infezione, antibiotici con un’azione battericida
- Cercare di rimuovere la fonte/sorgente di infezione tutte le volte che è possibile
- In condizioni severe è GIUSTO iniziare una terapia antibiotica ad ampio spettro, con la ripromessa di ridurre lo spettro degli antibiotica (de-escalation) una volta che la paziente sia maggiormente stabile e una volta disponibili gli esami colturali microbiologici (es. emocolture)
Di seguito le definizioni di SIRS, SEPSI e SEPSI SEVERA, SHOCK
Quale schema di terapia antimicrobica scegliere per questa paziente? La paziente è portatrice di un CVC ed è altamente probabile che l’infezione parta da quella sede. Inoltre sta eseguendo NPT, e ciò è un ulteriore fattore di rischio per sepsi (in particolare da Candida spp.). Infine, essendo la paziente ricoverata da tempo, andrà imposta una terapia per batteri MDR (in base ai tassi di resistenza del nostro ospedale). Quindi, in questo caso imposterei la seguente terapia antibiotica:
Terapia antibiotica in sepsi severa (CVC relata): daptomicina 6-8 mg/kg/die + meropenem 1 g/6-8 h (dose di carico di 2 g) + caspofunigina 50 mg/die (dopo dose di carico di 75 mg) + rimozione del CVC
Tale schema, a spettro estremamente esteso, andrà ASSOLUTAMENTE rivisto dopo 48h in base ai risultati microbiologici, in particolare delle emocolture.
Spero che questo POST ti sia piaciuto. Se è così CONDIVIDILO con uno dei Social buttons qui sotto e sarai anche tu PROMOTORE DEL MIGLIORAMENTO DELLA PRESCRIZIONE ANTIBIOTICA. GRAZIE!
Un saluto, Andrea.
Sebbene le cefalosporine abbiano bassa escrezione urinaria, nella terapia empirica delle infezioni urinarie complicate viene anche consigliata una terapia iniziale di consolidamento con ceftriaxone 2g e.v. in alternativa alla terapia di consolidamento con aminoglicoside a dose di 3-5 mg/kg nelle 24 ore seguita dalla terapia con fluorochinoloni. Quale ne è il razionale? Sempre nelle infezioni urinarie complicate le cefalosporine ad ampio spettro vengono considerate in alternativa alla piperacillina/tazobactam in associazione con gli aminoglicosidi o i carbapenemici.
Caro Giovanni, quello che dici è in parte vero. Attualmente, le cefalosporine vengono ancora consigliate come terapia alternativa in diverse situazione che interessano le vie urinarie: nelle infezioni non complicate dell’adulto (come III scelta, in particolare cefalexina), nelle infezioni non complicate del bambino (in questa situazione, generalmente, la secrezione è più elevata per l’aumento fisiologico del filtrato renale) e nelle infezioni complicate (come IV scelta) e in questo caso si consiglia Ceftazidime a dosaggio doppio del normale (Cefepime 2×3/die) appunta per la ridotta secrezione renale. Le indicazioni che ti ho citato, sono quelle raccomandate dalla Società Americana di Malattie Infettive (IDSA) che puoi trovare anche sull’ultima edizione della Sanford Guide Antimicrobial Therapy (http://www.sanfordguide.com/publications/the-sanford-guide-to-antimicrobial-therapy/mobile-applications). Spero di esserti stato utile. Buona serata.
Grazie, aggiungo anche il fatto che le cefalosporine di III e IV generazione sono indicate anche nelle infezioni da Enterobacteriaceae resistenti ai fluorochinoloni e cotrimoxazolo, come in alcune prostatiti acute: http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/20459324
Se ne consiglia comunque sempre un uso prudente almeno nelle IVU non complicate. In questi casi si deve prediligere la scelta di antibiotici come fosfomicina, cotrimoxazolo e nitrofurantoina rispetto ai beta-lattamici ed ai fluorochinoloni. Fosfomicina e nitrofurantoina sono attive anche sugli enterococchi VRE, ma per questi germi è meglio usarle solo nelle IVU non complicate del tratto urinario basso, mentre per le infezioni da enterococco VRE del tratto urinario alto si deve ricorrere a linezolid e daptomicina. Nitrofurantoina non è attiva su Pseudomonas, Proteus, Morganella morgani e non deve essere usata in genere nelle IVU del maschio. Fosfomicina mantiene azione su Pseudomonas e KPC e per queste ultime infezioni si può associare a colistina e carbapenemici (per KPC con MIC per carbapenemi inferiore o uguale a 4).E’ bene ricordare queste cose perché l’abuso di fluorochinoloni e cefalosporine ha portato nel tempo a molti germi resistenti come ESBL e MRSA:
http://www.giornaleitalianodinefrologia.it/web/eventi/GIN/dl/storico/2012/S56/1_GIN56_12_ZAMPARINI_OK%20ABS_S3-NaN.pdf. Buona serata, spero di poter chiedere altri chiarimenti in futuro.
Ciao, grazie dell’articolo, era esattamente il tipo di schema terapeutico di cui avevo bisogno per ricominciare a studiarmi gli antibiotici. Mi rimangono due domande: negli ospedali com’è purtroppo il mio in cui un’overprescrizione di imipenem ha dato reso molto diffusa la klebsiella carbapenemasi resistente, cosa mi consigli per le HAP e le VAP in attesa di emo-escreatocoltura? E per le infezioni addominali ha senso dare l’imipenem sapendo quello che ti ho detto? Seconda domanda: capisco il razionale della daptomicina ma considerando una realtà in cui il farmaco non sia disponibile è meglio una cefalo o direttamente la vancomicina?
Grazie Aurora per il commento. La situazione di molti ospedali italiani è proprio questa: un circolo vizioso dove l’aumento dell’incidenza di resistenza costringe il clinico ad impostare una terapia antibiotica empirica ad ampio spettro (o una terapia di associazione) che di fatto aumenta nuovamente il rischio di resistenza. Per fronteggiare questa “crisi” occorrono interventi strutturati che prevedano rigidi protocolli di “Infettino Control” per i microrganismi MDR (stanze di isolamento, ecc), aderenza al protocollo di igiene delle mani dell’ OMS, programmi di Antimicrobial Stewardship e una conoscenza delle resistenze antimicrobiche locali. Detto questo, se nel tuo ospedale i tassi di ESBL+ sono molto elevati (>25-30%), direi che in una VAP severa o nelle infezioni intra-addominali severe sia giustificato l’impiego del carbapenemico. Nelle HAP forse si potrebbe iniziare con piperacillina/tazobactam o ceftazidime (come per le infezioni intraaddominali meno gravi). La vancomicina la impiegherei sempre in prima scelta sia nelle HAP, sia nelle infezioni intraaddominali ospedaliere, se non presente insufficienza renale. Spero di esserti stato d’aiuto. A presto!
Quindi nonostante la scelta non oculata che è presente nel mio ospedale di dare carbapenemici per infezioni minori, consiglieresti ugualmente di usarlo? E per la Klebsiella resistente che antibiotico consigli?
Altra domanda: come decidi quando dare caspofungin al posto degli azoli?
Non ho detto questo Aurora: ho detto nelle VAP e nelle infezioni intra-addominali severe. Non userei mai il carbapenemico nelle infezioni di minor gravità. Per rispondere alla tua seconda domanda, nelle infezioni severe da KPC+ (batteriemie, polmonite, infezioni intra-addominali) occorre utilizzare una terapia di associazione che preveda almeno 2 antibiotici attivi (per es. colistina + tigeciclina) associati a carbapenemico ad alte dosi, se la MIC puntuale risulta comunque < 64. Tuttavia non vi sono dati/ studi randomizzati sicuri. Infine, anche per caspofungina vale il discorso della gravità dell'infezione: se un paziente presenta fattori di rischio per infezione invasiva da candida (es. persistenza di febbre nonostante tp antibiotica, CVC, intervento chirurgico, NPT, ecc), e presenta una PCT negativa o di poco mossa, si potrebbe iniziare, se è instabile, una terapia con echinocandina in attesa del risultato del 1-3 Beta D glucano. Se quest'ultimo dovesse risultare negativo, si potrebbe poi sospendere la terapia antifungina dato l'elevato potere predittivo negativo del test. Un saluto. Andrea