Il disastro è fatto, il diluvio imminente! Ormai l’uomo ha gettato al vento un secolo di progressi della farmacologia ed è tornato in balia delle infezione batteriche. Il continuo emergere di microrganismi resistenti agli antibiotici, sia in ospedale, sia in comunità, sta mettendo in crisi la maggior parte dei sistemi sanitari e a rischio la salute di interi paesi, soprattutto quelli che un tempo erano considerati “civilizzati”.
Ma è davvero troppo tardi, o si può fare ancora qualcosa?
La Società Internazionale di Chemioterapia (International Society of Chemotherapy) pensa che si possa fare ancora qualcosa, per fortuna e, proprio come Mosè nel deserto, ha deciso di scrivere “10 comandamenti” che ogni medico dovrebbe conoscere e seguire ogni giorno per l’utilizzo degli antibiotici in Ospedale.
Siete pronti? Allora andiamo a vederli insieme. E mi raccomando, intervenite numerosi nei commenti, per discuterne insieme. Allora partiamo!
1. OTTENERE CAMPIONI MICROBIOLOGICI APPROPRIATI PRIMA DI INIZIARE UNA TERAPIA ANTIBIOTICA
In assenza di segni clinici di infezione, la colonizzazione richiede raramente un trattamento antimicrobico
La prima domanda pertinente quando si ricevono i risultati dal laboratorio di microbiologia è la seguente: il batterio riportato causa effettivamente un’infezione o è solo un colonizzante o un contaminante? Il corpo umano è colonizzato da trilioni di microrganismi, una comunità complessa chiamata microbiota o “flora commensale” [13]. La somministrazione di antibiotici distrugge questo microbiota.
Altre domande da porsi sono: Questa specie è un membro comune del microbiota? Questa specie rappresenta una causa comune di questa specifica infezione? Il paziente ha predisposizione per essere infetto da un tale microrganismo? Il paziente ha segni o sintomi che suggeriscono un’infezione nel sito del corpo da cui è stato prelevato il campione? Il patogeno isolato si vede anche nella colorazione di Gram?
I criteri clinici dovrebbero sempre essere applicati per differenziare i contaminanti dai batteri che causano effettivamente l’infezione.
Oltre ad ottenere campioni di buona qualità, i medici dovrebbero evitare di inviare campioni non necessari per studi microbiologici (ad esempio campioni di ulcere da decubito non infette, urine nella maggior parte dei pazienti asintomatici) che potrebbero guidare l’abuso di antibiotici.
I professionisti dovrebbero includere nel modulo di richiesta per il laboratorio alcune informazioni preziose (ad esempio il reparto di ammissione, la durata dell’ospedalizzazione, il sospetto focolaio infettivo di partenza e gli antibiotici prescritti in precedenza). Ciò consentirà al microbiologo di interpretare i risultati, decidere sulla necessità di ulteriori studi e personalizzare l’elenco dei farmaci da sottoporre ai test di suscettibilità.
2. EVITARE L’USO DEGLI ANTIBIOTICI PER CURARE LA FEBBRE
Indagare sulla causa principale della febbre e trattare solo le infezioni batteriche significative
La febbre non è sempre un segno di infezione! Il rialzo termico da solo non dovrebbe portare all’uso dell’antimicrobico, poiché i pazienti infetti di solito presentano anche altri segni che suggeriscono il focus dell’infezione. Una storia approfondita e un esame obiettivo dovrebbero guidare l’identificazione della fonte più probabile di infezione, seguita da indagini appropriate basate sul sospetto clinico (sia microbiologico che non microbiologico). Gli antibiotici non dovrebbero essere prescritti senza un chiaro sospetto o evidenza di infezione!
In uno studio sulle cause della febbre acuta, il 26% degli episodi erano di origine non infettiva [19]. Un altro studio ha mostrato che solo il 30% degli episodi febbrili era legato a infezioni batteriche, mentre altre condizioni (ad esempio ictus, infarto miocardico) rappresentavano il 20% [20]. In una recente revisione sistematica basata sull’evidenza, l’incidenza della febbre acquisita in ospedale variava dal 2% al 17%; la febbre è stata attribuita a un’infezione batterica nel 37-74% dei pazienti e all’eziologia non infettiva nel 3-52% [21]. Le cause infettive più comuni comprendevano infezioni del tratto urinario, polmonite, sinusite e infezioni del flusso sanguigno; le cause non infettive più comuni erano correlate alla procedura (ad esempio trasfusione di sangue), neoplasie e condizioni ischemiche (ad es. infarto del miocardio, embolia polmonare).
Lo stesso ragionamento sulla febbre, si dovrebbe applicare anche ai bio-markers come la proteina C-reattiva: livelli superiori ai valori normali senza segni di infezioni non richiedono l’uso di antibiotici.
3. UN TRATTAMENTO ANTIBIOTICO EMPIRICO DEVE CONSIDERARE VARI FATTORI
Quando indicato, iniziare un trattamento antibiotico empirico dopo aver eseguito esami colturali, adattandolo al sito di infezione, ai fattori di rischio per i batteri multi-resistenti (MDR), alla microbiologia locale e ai modelli di suscettibilità
I medici hanno una doppia responsabilità: l’inizio tempestivo di una terapia antibiotica efficace può salvare vite umane, mentre un uso eccessivo può selezionare una resistenza che può danneggiare il paziente e la comunità. Questo è un enigma etico che solo di recente ha iniziato ad essere affrontato [22]. Alcune domande iniziali che possono aiutare ad accertare l’effettiva necessità di un trattamento antibiotico e decidere un adeguato trattamento empirico iniziale sono:
- Quanto è grave l’attuale episodio infettivo?
- Il paziente ha già ricevuto antibiotici? Quali?
- Il paziente ha avuto l’isolamento dei batteri MDR nelle colture precedenti? Quali?
- Per quanto tempo è stato ricoverato?
- Il paziente è stato ricoverato in un reparto di medicina/chirurgia o in un’unità di terapia intensiva? Per quanto?
- È stato sottoposto a ventilazione meccanica? Per quanto?
- Il paziente ha subito altre procedure invasive? Quali? Quando?
- Il paziente è portatore di dispositivi/innesti impiantati?
- Quali sono i tassi di resistenza antimicrobica in questo ospedale?
- C’è o c’è stata di recente un’epidemia ospedaliera? Causata da quale microrganismo?
- Il paziente è immunocompromesso o ad alto rischio di presentare manifestazioni atipiche di infezione?
Il trattamento antibiotico empirico deve essere selezionato sulla base del sospetto del più probabile focolaio infettivo primitivo e, quindi, sulla base del microrganismo più probabile. Infine, deve sempre essere considerata anche la gravità del paziente: i pazienti più compromessi trarranno beneficio da terapie ad ampio spettro iniziate precocemente[23]. Nello shock settico, un trattamento appropriato iniziato entro la prima ora migliora la sopravvivenza [24].
4. CONSIDERARE TUTTI GLI ASPETTI FARMACOLOGICI
Prescrivere gli antibiotici alla dose ottimale, alla modalità di somministrazione e per il periodo di tempo appropriato, adattati a ciascuna situazione clinica e alle caratteristiche del paziente
Per ottenere un’esposizione ottimale al farmaco e massimizzare l’abbattimento della carica batterica (e quindi migliorare l’esito del paziente), è necessario considerare gli aspetti farmacocinetici/farmacodinamici [25,26]. In breve, le considerazioni da fare sono le seguenti:
FARMACODINAMICA
Antibiotici dipendenti dal tempo e dalla concentrazione.
L’attività degli antibiotici dipendenti dal tempo (ad esempio, β-lattamici, lincosamidi, linezolid) dipende principalmente dall’intervallo di tempo in cui le concentrazioni sono superiori alla concentrazione minima inibente (MIC), indicata come T> MIC, per il patogeno coinvolto.
D’altra parte, per alcuni antibiotici concentrazione-dipendenti, come gli aminoglicosidi e la daptomicina, l’efficacia dipende principalmente dal quoziente tra la concentrazione plasmatica massima (Cmax) e la MIC (Cmax/MIC).
Per gli altri (vale a dire fluorochinoloni, polimixine, tetracicline), l’attività dipende dal quoziente dell’area sotto la curva concentrazione-tempo su 24 h (AUC0-24) alla MIC (AUC0-24/MIC). Per gli antibiotici concentrazione-dipendenti, alte dosi iniziali sono essenziali per raggiungere il massimo effetto battericida il prima possibile.
Nonostante siano antibiotici dipendenti dal tempo, dosi più elevate di carbapenemi in infusione prolungata hanno anche mostrato benefici, in combinazione con un altro farmaco attivo per il trattamento delle Enterobatteriacee produttrici di carbapenemasi [27,28]. I carbapenemi mostrano un’efficacia significativa quando le concentrazioni di farmaco libero rimangono al di sopra della MIC per ≥40-50% del tempo tra gli intervalli di somministrazione. Ad esempio, somministrare 2 g di meropenem durante un’infusione di 3 ore ogni 8 ore è vantaggioso se la MIC dell’organismo infetto è ≤ 8 mg / L, poiché la probabilità di raggiungere l’obiettivo del 50% T> MIC è> 80% [29,30].
Il profilo della vancomicina è ancora in discussione. È per lo più considerato un antibiotico tempo-dipendente [31], sebbene alcuni autori [32] suggeriscano che una AUC / MIC> 400 sia l’obiettivo per raggiungere una risposta clinica ottimale [33]. D’altra parte, T>MIC è considerato necessario per massimizzare l’attività battericida della vancomicina, specialmente contro gli isolati di Staphylococcus aureus resistenti alla meticillina (MRSA) con MIC di 1,5-2 mg/L che sono associati ad una ridotta risposta terapeutica [34-36]. In questi casi si raccomanda di mantenere i livelli di valle a 15-20 mg/L. Nei pazienti più gravi, una dose di carico di 25-30 mg/kg può permettere di raggiungere più rapidamente questo obiettivo. Si potrebbero anche prendere in considerazione farmaci alternativi, come la daptomicina.
Per quanto riguarda gli antibiotici concentrazione-dipendenti, potrebbe esserci una soppressione persistente della crescita anche quando i livelli di farmaco scendono al di sotto della MIC a causa del loro effetto post-antibiotico. Anche la durata del effetto post-antibiotico dipende dalla concentrazione: maggiore è la concentrazione del farmaco, maggiore è la durata. L’attività battericida concentrazione-dipendente, accoppiata ad un effetto post-antibiotico significativo, supporta la raccomandazione di eseguire la somministrazione una sola volta al giorno per aumentare il rapporto Cmax/MIC. Alcuni fluorochinoloni (es. levofloxacina) e gli aminoglicosidi hanno questo profilo. Soprattutto per gli aminoglicosidi, le singole somministrazioni di alti dosaggi possono fornire un rapporto Cmax / MIC maggiore nei siti di infezione e possono determinare una clearance batterica più rapida, con una minore tossicità. Poiché il processo di trasporto attivo che porta alla nefrotossicità è saturabile, il dosaggio singolo giornaliero dell’aminoglicoside determina una riduzione dell’assorbimento del farmaco nelle cellule epiteliali tubulari renali prossimali [37].
Farmacocinetica
Lipofilia e volume di distribuzione. Gli antibiotici lipofili (ad esempio fluorochinoloni, linezolid, rifampicina, macrolidi) di solito hanno un volume maggiore di distribuzione (Vd), possono entrare nelle cellule ed essere più attivi contro i patogeni intracellulari, hanno maggiori probabilità di raggiungere tessuti meno vascolarizzati e danneggiati, e sono metabolizzati dal fegato. Al contrario, gli agenti idrofili (come i β-lattamici, gli aminoglicosidi e i glicopeptidi) hanno una Vd più piccolo, una penetrazione cellulare limitata, sono meno attivi contro i patogeni intracellulari, possono non raggiungere a concentrazioni efficaci tessuti meno irrorati e di solito vengono escreti immodificati attraverso la clearance renale [ 38].
Legame proteico. Solo l’antibiotico libero o non legato alle proteine ha un’attività antibatterica, ed è in realtà la frazione libera del farmaco che è rilevante per le considerazioni farmacodinamiche. Ciò è particolarmente importante per gli antibiotici che si legano molto alle proteine, come ceftriaxone, ertapenem, daptomicina o teicoplanina, per i quali variazioni nei livelli delle proteine (ad esempio nel cancro, nella cachessia e nei pazienti anziani) possono portare a importanti cambiamenti nei loro livelli plasmatici[39].
Funzionalità epatica e renale. La funzione epatica e renale devono essere prese in considerazione quando si sceglie il dosaggio di un antibiotico. Le dosi devono essere regolate correttamente al fine di minimizzare gli effetti avversi e le interazioni farmacologiche.
Infine, i trattamenti antibiotici più brevi sono più sicuri, meno costosi e riducono il rischio di eventi avversi e della selezione di resistenza [40]. È stato supportato l’uso della procalcitonina per guidare l’inizio e la durata del trattamento antibiotico in pazienti con diverse infezioni [41,42].
5. UTILIZZARE COMBINAZIONI ANTIBIOTICHE SOLO NEI CASI IN CUI L’EVIDENZA SUGGERISCA UN BENEFICIO
L’uso di terapie combinate per il trattamento di infezioni batteriche gravi XDR o PANDR è sempre più comune nonostante la scarsità di evidenze cliniche [50]. In generale, le meta-analisi di studi osservazionali hanno mostrato un beneficio dalla terapia di associazione, mentre quelle che includono studi clinici randomizzati non hanno mostrato benefici [51,52]. Le prove attuali riguardanti la terapia antibiotica di combinazione in determinate situazioni sono discusse di seguito.
P. aeruginosa e Acinetobacter spp.
La superiorità della terapia combinata nelle infezioni da P. aeruginosa XDR non è stata dimostrata in modo definitivo. Le meta-analisi pubblicate non si stratificarono per lo stato di resistenza, in quanto includevano per lo più studi condotti nell’era pre-XDR [53-55]; lo studio di Kumar et al [56] non si è concentrato su P. aeruginosa XDR. Acinetobacter spp. sta diventando sempre più XDR con poche opzioni terapeutiche rimanenti e non ci sono studi clinici ben progettati che confrontino i trattamenti. Uno studio retrospettivo ha dimostrato che la colistina combinata con un carbapenem, sulbactam o tigeciclina ha prodotto esiti migliori rispetto alla monoterapia con colistina [57]. Tuttavia, una revisione sistematica pubblicata di recente ha mostrato risultati contrastanti [58]. Considerando le attuali difficoltà a definire con precisione se la terapia di combinazione è effettivamente necessaria per tutte le infezioni che coinvolgono questi bacilli Gram negativi, sembra prudente iniziare con due farmaci presumibilmente attivi (cioè colistina, carbapenemi, aminoglicosidi, tigeciclina o fosfomicina, a seconda della resistenza locale) nelle seguenti situazioni in cui i batteri MDR sono sospettati o confermati [24,58,59]:
- grave sepsi o shock settico;
- sepsi in pazienti neutropenici o altre condizioni immunocompromesse;
- pazienti settici con recenti ricoveri in terapia intensiva.
La durata del trattamento di combinazione dipenderà da vari fattori, come l’evoluzione clinica e i risultati finali dei test di suscettibilità gli antibiotici.
Enterobacteriaceae produttrici di carbapenemasi
Alcuni studi osservazionali hanno dimostrato che la terapia di associazione contro le Enterobacteriaceae produttori di carbapenemasi (principalmente produttori di KPC) è associata a un rischio di mortalità significativamente inferiore rispetto alla monoterapia [27,60]. Questo era più evidente tra i pazienti con shock settico e in quelli con gravi patologie di base [27]. I regimi di associazione contenenti carbapenemi erano superiori ai regimi di associazione senza carbapenemi quando la MIC era ≤8 mg/L. Osservazioni simili sono state recentemente pubblicate da una coorte italiana [61]. Una delle ragioni di questi risultati potrebbe essere che la colistina viene spesso prescritta in dosi subottimali e senza una dose di carico. Per i carbapenemi, può essere possibile ottenere una T> MIC durante proporzioni significative dell’intervallo di dosaggio per microrganismi con MIC fino a 8 mg/L. Non vi è alcun vantaggio quando i carbapenemi sono usati come monoterapia o quando la MIC è ≥16 mg/L [62]. I carbapenemi non dovrebbero essere usati se la MIC > 8 mg/L o non disponibile, per evitare un’ulteriore selezione di resistenza [28].
6. EVITARE ANTIBIOTICI CHE INDUCONO MAGGIORMENTE RESISTENZA
Quando possibile, evitare antibiotici in grado di sostenere una resistenza ai farmaci o infezioni acquisite in ospedale o usarli solo come ultima risorsa
Tutti gli antibiotici esercitano una pressione selettiva favorendo le varianti resistenti. Sebbene non sia possibile raggiungere un consenso generale sulla classificazione degli antibiotici per il loro rischio di selezionare la resistenza batterica [63], alcuni antimicrobici hanno effetti più forti e danno collaterale rispetto ad altri. Questa potrebbe essere la conseguenza della loro farmacodinamica e del meccanismo d’azione. Un altro fattore di influenza è la loro farmacocinetica. Per esempio, i macrolidi di seconda generazione possono promuovere la resistenza in modo più significativo rispetto all’eritromicina a causa della loro emivita più lunga [64], con concentrazioni di mantenimento della resistenza sub-inibitoria che rimangono per un periodo di tempo più lungo. Alcuni antibiotici, in particolare quelli che hanno come obiettivo la replicazione del DNA (ad esempio i chinoloni), attivano le risposte SOS, migliorando la resistenza adattativa e il trasferimento genico [65].
La diffusione negli ospedali di Enterobacteriaceae resistenti alle cefalosporine di terza generazione e ai fluorochinoloni, di P. aeruginosa e Acinetobacter spp. resistenti ai carbapenemi, di S. aureus meticillino-resistente e di altri patogeni MDR è spesso correlata all’elevata pressione selettiva degli antimicrobici [ 66]. La relazione tra l’uso di antibiotici e l’emergenza di patogeni MDR è molto complessa perché ci sono molte variabili in gioco [67]. Tuttavia, è generalmente accettato che ci siano tre effetti principali, da considerare:
L’impatto ecologico sulla flora batterica generale
Questo fenomeno presuppone la presenza di resistenza preesistente (solitamente intrinseca, ma anche potenzialmente acquisita) in patogeni chiave, che conferirebbe un vantaggio di sopravvivenza quando si utilizzano agenti ad ampio spettro, consentendo la diffusione attraverso la colonizzazione di siti corporei impoveriti del loro normale microbiota [ 67,68].
- L’uso di chinoloni, cefalosporine, macrolidi, lincosamidi, streptogramine e inibitori della beta-lattamici/β-lattamasi è associato all’emergenza di MRSA [67,68].
- L’uso dei carbapenemi e dei chinoloni induce la selezione e la diffusione di P. aeruginosa resistente ai carbapenemi e ai chinoloni [69,70].
- L’aumento costante di Enterobacteriaceae resistenti alle cefalosporine di III gen. (in particolare Klebsiella pneumoniae) in ambito ospedaliero è stato associato all’uso massiccio dei chinoloni [71].
- L’uso indiscriminato del metronidazolo (ad es. nella chirurgia addominale) è correlato ad un aumento delle infezioni causate da Enterobacteriaceae resistente alle cefalosporine di III gen. [72].
- L’uso di carbapenemi aumenta le infezioni da P. aeruginosa e Acinetobacter spp. resistente ai carbapenemi, così come la selezione di Stenotrophomonas maltophilia [71,73,74].
- Ceftriaxone promuove, più di cefotaxime, la selezione e la diffusione di E. coli produttore di β-lattamasi a spettro esteso (ESBL) e resistente alla ciprofloxacina [70].
- D’altra parte, l’uso di piperacillina/tazobactam è associato a tassi ridotti di infezioni dovute a K. pneumoniae ed E. coli ESBL+ [75].
- Tuttavia, piperacillina/tazobactam potrebbe indurre la selezione di Acinetobacter spp. MDR [71].
Induzione di resistenza in specifici patogeni
- La maggior parte delle cefalosporine di III gen. e di altri β-lattamici sono in grado di indurre la sovraespressione delle beta-lattamasi cromosomiche AmpC negli organismi “SPACE” (cioè Serratia marcescens, Providencia, Pseudomonas, Acinetobacter spp., Citrobacter freundii e Enterobacter spp.), rendendoli sensibili quasi solo ai carbapenemi [76,77].
- Tuttavia, al di là della buona attività dei carbapenemi contro i patogeni produttori di AmpC, cefepime rimane resistente (quindi attivo) all’azione idrolitica dell’enziama Amp C (in assenza di meccanismi di resistenza concomitanti, ad esempio alla produzione di ESBL) e potrebbe essere considerato il farmaco di scelta. In tali situazioni, quindi, i carbapenemi potrebbero essere risparmiati e utilizzati solo quando non sono disponibili altre opzioni [78,79].
Rapida acquisizione di mutazioni di resistenza
Le mutazioni puntiformi in un singolo gene possono portare a resistenza ad alcuni antibiotici. Ad esempio, la resistenza alla rifampicina e alla fosfomicina si sviluppa rapidamente durante il trattamento, quindi non dovrebbero essere mai usate in monoterapia (fa eccezione l’utilizzo della fosfomicina nella cistite) [80].
In sintesi, non esiste una strategia unica per evitare lo sviluppo della resistenza agli antimicrobici. Sarebbe importante evitare l’uso routinario degli stessi antibiotici per tutte le situazioni.
7. CONTROLLO DELLA FONTE DI INFEZIONE
Drenare rapidamente i focolai infettivi e rimuovere tutti i dispositivi infetti
Cosa intendiamo per controllo della fonte/sorgente di infezione? Si intendono tutte quelle procedure che permettono di eliminare il focolaio infettivo, di controllare i fattori che mantengono l’infezione in corso e quelle procedure che correggono le alterazioni anatomiche per ripristinare la normale funzione fisiologica [44]. La necessità di drenare prontamente le raccolte residue nei pazienti settici [81] è stata nuovamente sottolineata dalla Campagna Mondiale “Sopravvivere alla Sepsi” [24]. Nei pazienti più gravi, il controllo della fonte d’infezione dovrebbe avvenire entro 12 ore dalla diagnosi.
Un altro esempio riguarda la gestione dei cateteri venosi centrali infetti. I cateteri vascolari infetti da bacilli Gram negativi, S. aureus, enterococchi, miceti e micobatteri devono essere sempre rimossi [82]. Se si tenta di salvare il catetere, il dispositivo dovrebbe comunque essere sempre rimosso se le emocolture persistono dopo 72 ore dall’inizio di una terapia appropriata.
8. MINIMIZZARE L’ESCALATION DELLA TERAPIA ANTIBIOTICA
Razionalizzare il trattamento in base alla situazione clinica e ai risultati microbiologici; inoltre, passare alla via orale il prima possibile
Dopo le prime 72 ore di trattamento, è necessario prendere in considerazione alcuni elementi importanti per migliorare l’uso degli antibiotici. Pulcini et al suggeriscono di adottare 4 misure dopo 3 giorni di terapia antibiotica (il cosiddetto “bundle del terzo giorno“):
- esistenza di un “piano antibiotico” (nome, dose, via, intervallo di somministrazione e durata prevista);
- revisione della diagnosi;
- adattamento ai risultati microbiologici;
- passaggio da via intravenosa a via orale [12].
Non appena i risultati microbiologici diventano disponibili, il trattamento antibiotico empirico deve essere semplificato scegliendo il farmaco più attivo con la minore tossicità, lo spettro più ristretto e il costo più basso. Ciò permette un risparmio sia diretto delle spese di trattamento sia indirettamente attraverso il minor impatto sul microbiota nosocomiale. La de-intensificazione (de-escalation) della terapia antibiotica ha dimostrato di essere una strategia sicura anche in caso di sepsi o shock settico, ed è associata ad una riduzione della letalità [83]; nonostante questo, due recenti studi hanno dimostrato che la de-escalation è stata eseguita solo nel 50% dei casi di sepsi documentata [83,84]. Inoltre, una revisione sistematica pubblicata di recente ha mostrato una considerevole variabilità nella definizione di de-escalation della terapia antibiotica [85]. Tale strategia è stata eseguita più frequentemente in pazienti con una terapia antimicrobica ad ampio spettro appropriata, quando sono stati utilizzati più agenti e in assenza di patogeni MDR. La de-escalation ha mostrato una riduzione della letalità.
L’affidabilità dei risultati del laboratorio di microbiologia è essenziale per consentire la de-escalation della terapia antibiotica. Infine, il passaggio dalla terapia intra-venosa alla terapia orale dopo 48-72 ore dovrebbe essere considerato sulla base delle condizioni cliniche e quando:
- l’antibiotico è disponibile per via orale;
- l’assunzione per via orale e l’assorbimento gastrointestinale non sono compromessi;
- è adeguato in termini di diagnosi (cioè non in endocardite o meningite) [11].
Questo switch contribuisce a ridurre i costi, diminuendo le possibilità di contaminazione della linea endovenosa e diminuendo i tempi di ospedalizzazione.
9. INTERROMPERE GLI ANTIBIOTICI NON APPENA E’ IMPROBABILE UN’INFEZIONE BATTERICA
Come affermato nel punto 8, rivedere la diagnosi dopo il terzo giorno fa parte del processo di miglioramento della prescrizione degli antibiotici [12]. Troppo spesso, una volta iniziato un trattamento antibiotico, i medici temono di interromperlo, anche se iniziato senza prove evidenti di infezione. In questi casi, il trattamento antimicrobico dovrebbe essere immediatamente sospeso. Inoltre, alcuni sostengono che “fermare gli antibiotici troppo presto aumenti la resistenza batterica“. Questo è assolutamento infondato: la causa principale dell’aumento della antibiotico-resistenza è l’abuso degli antibiotici e non l’interruzione precoce. È importante ricordare che, sebbene una singola dose di antibiotico possa essere selezionata per la resistenza, il rischio aumenta gradualmente con la durata del trattamento.
Quando il sospetto di infezione è basso, le colture risultano negative e il paziente è clinicamente stabile, gli antibiotici dovrebbero essere sospesi! Ad esempio, nei pazienti con un basso sospetto di polmonite da ventilazione (VAP), l’interruzione degli antibiotici dopo 72 ore è risultata associata ad una riduzione dell’emergenza di resistenza batterica senza influenzare la letalità [86].
Un’altra situazione frequente è l’abuso di antibiotici in pazienti con catetere urinario a permanenza solo perché il sedimento urinario apparea torbido. Il trattamento della batteriuria asintomatica deve essere fortemente scoraggiato.
Misurare i livelli di procalcitonina (PCT) può essere di aiuto per interrompere gli antibiotici in alcune situazioni.
10. NON LAVORARE DA SOLI!
Creare un team locale con uno specialista in malattie infettive, un microbiologo clinico, un farmacista ospedaliero, un epidemiologo ospedaliero e rispettare le politiche e le linee guida sugli antibiotici ospedalieri
Ci sono molti attori importanti dedicati a migliorare l’uso degli antibiotici in ogni istituzione, e di solito saranno contenti di collaborare con il team di AMS. Alcuni di questi membri cardine sono discussi di seguito [87-90].
Specialisti infettivologi. I medici infettivologi hanno un ruolo importante per il paziente con complicanza infettiva, e nel fornire consulenze e/o informazioni sulle caratteristiche degli antibiotici e della “flora” locale. È essenziale che i medici prescrittori di terapia antibiotica possano interagire in modo dinamico con il consulente infettivologo e il microbiologo clinico, ogni volta che è disponibile.
In una revisione di 31 studi che valutavano l’impatto dell’infettivologo sull’uso degli antibiotici negli ospedali, Pulcini et al hanno riscontrato che l’intervento dell’infettivologo ha portato ad un miglioramento significativo della prescrizione degli antibiotici e ad una riduzione del consumo di antibiotici [91]. In un altro studio, Schmitt et al. hanno dimostrato che un intervento dell’infettivologo ha portato ad una riduzione significativa della letalità e delle ri-ospedalizzazione [92]. Inoltre, i pazienti che hanno ricevuto una valutazione infettivologa entro 2 giorni dal ricovero hanno ridotto significativamente la letalità a 30 giorni, i tassi di ri-ospedalizzazione, la durata del ricovero e della permanenza in terapia intensiva, rispetto ai pazienti che hanno ricevuto una valutazione dopo 2 giorni.
Microbiologi clinici. In molti paesi, i microbiologi clinici sono più numerosi dei medici infettivologi [89]. Possono fornire dati sull’epidemiologia locale, sulla resistenza agli antimicrobici, e fornire raccomandazioni sul trattamento. Ad esempio, l’isolamento di un microrganismo ESBL+ o produttore di una carbapenemasi viene spesso segnalata nell’antibiogramma, insieme al consiglio di chiedere una valutazione infettivologica. Inoltre, il microbiologo clinico può fornire un rapporto selettivo dell’antibiogramma, basandosi essenzialmente su terapie di prima linea, indirizzando così i clinici a optare antibiotici a spettro ristretto con un minor rischio di selezionare resistenza.
Farmacisti clinici. Il farmacista clinico può aiutare il medico prescrittore in molte questioni farmacologiche, come la dose di carico, le interazioni farmacologiche, gli eventi avversi, le combinazioni, gli aggiustamenti della dose, lo switch da EV alla via orale e la de-escalation.
Infermieri e sanitari addetti al controllo delle infezioni. Gli infermieri e i sanitari addetti al controllo delle infezioni hanno un ruolo chiave e una buona comprensione di molti problemi correlati: la resistenza antimicrobica; l’ epidemiologia; gli schemi di prescrizione antimicrobica e le attività di controllo delle infezioni (isolamento,igiene delle mani).
In effetti, l’antimicrobial stewardship è solo una delle molte misure necessarie per prevenire e gestire la resistenza agli antibiotici in ospedale. Un programma di prevenzione e controllo delle infezioni ben funzionante è fondamentale per fornire una strategia di gestione su misura per ciascuna istituzione. Senza di essa, tutti i punti che abbiamo analizzato potrebbero risultare insufficienti per frenare la diffusione della resistenza agli antimicrobici.
Altri componenti importanti che dovrebbero essere inclusi nel team dell’antimicrobial stewardship sono i dirigenti sanitari ospedalieri, i rappresentanti delle unità di terapia intensiva, della medicina interna, della chirurgia e della pediatria. Infine, sarebbe importante la partecipazione di un informatico esperto, per facilitare l’accesso dei clinici ai dati microbiologici e ai consumi farmacologici di ogni unità operativa.
Esistono molte variazioni nelle abitudini di prescrizione degli antibiotici anche tra i medici dello stesso ospedale. Sarebbe opportuno sviluppare una politica antibiotica locale che dovrebbe essere aggiornata periodicamente. Politiche e linee guida efficaci dovrebbero essere basate sull’evidenza. È essenziale adattare le raccomandazioni ai modelli locali di resistenza e alla disponibilità di antibiotici, evitando quelli con un impatto elevato sul microbiota. Le linee guida locali dovrebbero essere divulgate e frequentemente ricordate (ad esempio durante le visite di reparto e le consultazioni cliniche). La mancanza di conformità dei medici con i loro protocolli di terapia antibiotica è una delle principali cause di uno esito clinico sfavorevole.
Eccoci alla fine di questo lungo articolo. Come potete notare, non tutto è perduto e forse c’è ancora un po’ di speranza se ci impegniamo tutti ad applicare queste semplici norme quando prescriviamo una terapia antibiotica.
Un abbraccio a tutti.
Andrea.
PS: Se pensi che questo articola possa aiutare i tuoi colleghi ad USARE MEGLIO GLI ANTIBIOTICI, condividilo con un dei tasti qui sotto. GRAZIE!
Bravo davvero, anche per il sito con le altre sezioni e pubblicazioni!
Messaggi, ma spt. forma e canale giusti!
Davvero quello che è necessario in Italia per una divulgazione e sensibilizzazione tra i medici non infettivologi. Avanti così!
Benissimo Andrea!
Ora qualcosa sulla corretta applicazione delle misure di isolamento, magari distinguendo i casi in cui è richiesto il vero isolamento in stanza singola con bagno singolo ed in casi in cui può essere sufficiente un “isolamento funzionale”. Non tutti gli ospedali dispongono di camere singole, mentre la diffusione dei ceppi MDR, XDR e, in alcuni casi PDR, è ormai ubiquitaria.
Poi (perché no?) due parole sul fatto che la colonizzazione può persistere oltre la guarigione clinica e non può essere presa come scusa dalle strutture territoriali periferiche per non prendere in carico un paziente che così resta nei reparti ospedalieri e diviene, di fatto, “indimissibile” …
Un caro saluto
Caro Andrea (Giacometti), questo il mio pensiero circa le tue opportune considerazioni:
OK per il cohorting di pz. interessati da una stessa specie ed uno stesso ABG, ma solo davvero in extrema ratio, specie per i Gram neg. XDR/PDR. Il rendere non occupabili PL vuoti in stanze a 2 o 3 letti occupate da un pz. colonizzato/infetto da tali germi è corretto, la saturazione delle risorse è una conseguenza nota di questa pandemia, e deve spronare i ns. amministratori a investire a maggiori impegno e investimenti a tutti i livelli nei programmi di controllo (il PNCAR 2017, perfetto sulla carta, deve essere ora rapidamente e seriamente applicato!)
Per quanto riguarda le strutture territoriali di lungodegenza, eventuali rifiuti sono a mio avviso inaccettabili (e di fatto le superiamo) per le seguenti motivazioni:
– sappiamo bene che tali strutture rappresentano una setting di alta diffusione degli MDRO, spesso anche più di una UTI, Quindi di certo hanno già casi colonizzati da tali germi, quindi devono attrezzarsi subito – se già non lo sono – per le misure di isolamento, fisico e comportamentale, quindi devono essere idonee anche alla presa in carico dei pz. dimessi (i quali – peraltro – spesso vengono ospedalizzati dalle stesse strutture)
– la maggior parte sono strutture convenzionate. Ricordiamo ai loro responsabili che potremmo segnalare alla regione eventuali rifiuti ad oltranza, con conseguente rischio concreto di revoca delle convenzioni.
Cari saluti, e di nuovo grazie ad A. Bedini per suscitare e ospitare questi interessanti confronti.
Grazie ad Andrea e a Sergio per i loro commenti, puntuali e stimolanti. Spero a breve di poter pubblicare un POST sull’Infection Control e sulle misure di prevenzione da adottare in ospedale. Ancora grazie per tenere viva la discussione su argomenti così importanti. Un saluto, Andrea!