Se sbagli da subito l’antibioticoterapia in un paziente ricoverato, avrai un rischio molto alto di fallimento clinico, di prolungamento della degenza, di aumento della spesa e un alto rischio di selezionare batteri resistenti agli antibiotici.
Dopo oltre dieci anni di attività come consulente infettivologo, ho deciso di scrivere questo post per aiutare i medici a ridurre il rischio di errore nella scelta iniziale dell’ antibioticoterapia, soprattutto in assenza di isolati microbiologici (ridurre cioè l’errore nella scelta di una terapia antibiotica empirica).
MA PERCHE’ SI SBAGLIA LA SCELTA DELL’ANTIBIOTICO?
Sapete perché così tanti medici sbagliano la scelta dell’ ANTIBIOTICOTERAPIA iniziale?
Semplice: in Italia, per come è strutturato il Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia, lo studente non riceve una corretta formazione sulla TERAPIA ANTIBIOTICA! Infatti, gli antibiotici vengono “insegnati” durante il corso di Farmacologia II, durante il quale lo studente riceve informazioni sulla composizione chimica, le caratteristiche farmacinetiche e farmacodinamiche delle molecole antimicrobiche, ma il tutto distaccato dalla MICROBIOLOGICA e dalla CLINICA INFETTIVA. In questo modo, lo studente non potrà fare altro che imparare a memoria il nome e le categorie dei vari antibiotici, senza un razionale che lo guidi in una scelta ragionata della terapia antibiotica.
Penso che il corso di Laurea dovrebbe essere rinnovato, e che le tre materie (Farmacologia degli antibiotici, Microbiologia e Malattie Infettive) dovrebbero essere raggruppate nello stesso semestre!
Ma veniamo alla CLASSIFICA DEI 7 ERRORI PIU’ COMUNI che il medico ospedaliero commette nella scelta di una terapia antibiotica.
# ANTIBIOTICOTERAPIA – ERRORE N° 1
Il primo e anche il più frequente errore che il clinico commette nella scelta della terapia antibiotica è il seguente: METTERE UN ANTIBIOTICO QUANDO NON SERVE!
L’antibiotico è il farmaco più facile da prescrivere e il più difficile da sospendere, e in molte condizioni il medico che ricovera un paziente, soprattutto se anziano e poco collaborante, decide di iniziare un antibiotico (“che tanto male non fa…”)
CONSIGLIO: in assenza di segni sistemici di infezione (febbre, tachicardia, ipotensione, iperventilazione, leucocitosi/leucopenia, aumento della PCR) non andrebbe iniziato un antibiotico. Sarebbe più opportuno osservare il paziente per 24-48 ore ed eventualmente eseguire esami colturali (emocolture, urinocoltura) in caso di iperpiressia.
# ANTIBIOTICOTERAPIA – ERRORE N° 2
Un secondo errore che si commette spesso quando si prescrive un’ antibioticoterapia è USARE UN DOSAGGIO BASSO DI ANTIBIOTICO (“che così non gli fa troppo male…”). Questo tipo di errore, associato al prolungamento eccessivo dell’ antibioticoterapia, è il principale fattore di rischio per lo sviluppo di batteri multi-resistenti. Infatti, una dose bassa di antibiotico è in grado di sterminare i batteri saprofiti intestinali e di selezionare quelli che hanno una sensibilità ridotta a quel antibiotico (cioè quelli con una concentrazione minima inibente più elevata) e che quindi prenderanno il sopravvento.
CONSIGLIO: se devi usare un antibiotico, usalo ad un dosaggio coretto eseguendo sempre una dose di carico per gli antibiotici beta-lattamici. La dose di antibiotico va calcolata in dose giornaliera complessiva, in base al peso e alla funzionalità renale e/o epatica. Tale quantità di farmaco poi andrà somministrata in:
- unica dose (per gli antibiotici con azione “concentrazione dipendente”) o
- in dosi frazionate nel tempo (per gli antibiotici ad azione “tempo dipendente”)
# ANTIBIOTICOTERAPIA – ERRORE N° 3
Un errore nell’ antibioticoterapia che riscontro frequentemente nei reparti di Chirurgia è: il PROLUNGARE LA SOMMINISTRAZIONE DELL’ANTIBIOTICO-PROFILASSI oltre le 24 ore dall’intervento.
Su questo punto, direi che non si dovrebbe più parlare di linee-guida internazionali, nazionali o interne, ma si dovrebbe parlare più di linee-guida “interiori”, sì interiori a ciascun chirurgo!
In generale, il chirurgo ha una paura folle della complicanza infettiva e vuole “dormire sonni tranquilli” dopo l’intervento.
Tuttavia, quello che spesso non sa o non considera attentamente sono i seguenti punti:
- la profilassi antibiotica in chirurgia, per come è stata studiata, ha mostrato un’evidenza/efficacia se somministrata in un’unica dose o al massimo per 24 ore.
- la profilassi in chirurgia ha lo scopo di prevenire la contaminazione del sito chirurgico al momento dell’incisione della cute e di previene le infezioni superficiali e profonde del sito chirurgico
- la profilassi in chirurgica non è in grado di prevenire le infezioni post-operatorie e delle infezioni “lontane” dal sito chirurgico (per esempio una polmonite o un’infezione delle vie urinarie che insorgono in un paziente operato di colecistectomia)
- la profilassi in chirurgia, se prolungata oltre le 24 ore, aumenta il rischio di infezioni da microrganismi multi-resistenti.
CONSIGLIO: eseguire la profilassi antibiotica pre-operatoria solo se necessaria (non è indicata negli interventi “puliti”) e non proseguire mai la profilassi oltre le 24 ore dall’intervento. Evitare di dimettere un paziente con una PROFILASSI ANTIBIOTICO (se un paziente necessita di una terapia, deve avere una infezione in atto e deve essere specificato sulla lettera di dimissione!)
# ANTIBIOTICOTERAPIA – ERRORE N° 4
L’errore N° 4 nella prescrizione dell’ antibioticoterapia è in realtà costituito da due errori che ho considerato insieme, perché presentano la medesima origine e perché, per entrambi, valgono le stesse considerazioni.
In questo caso, il medico si trova a dover scegliere un’ antibioticoterapia per un paziente che ne ha realmente bisogno. Supponiamo, per esempio, che il medico sia di guardia di notte e che dal Pronto Soccorso venga ricoverato un paziente con iperpiressia da alcuni giorni e che dall’esame clinico e dagli esami bioumorali non ci siano dubbi che il soggetto presenti un’infezione batterica (febbre> 39°C, ipotensione, tachicardia, marcato incremento dei leucociti, PCR elevata). Quale antibioticoterapia o associazione di antibiotici andrà scelta?
L’errore N° 4 consiste nello SCEGLIERE UN ANTIBIOTICO A SPETTRO D’AZIONE TROPPO RIDOTTO o, viceversa, nello SCEGLIERE UN ANTIBIOTICO A SPETTRO D’AZIONE TROPPO AMPIO.
Cosa stai dicendo Andrea?! Qual’è quindi la scelta da fare?
Questo è il momento in cui, con poche considerazioni, si può ridurre drasticamente il rischio di errore. E’ necessario eseguire una STRATIFICAZIONE DEL RISCHIO DI INFEZIONE DA MICRORGANISMI MULTI-RESISTENTI.
Vale a dire: se il paziente non presenta fattori di rischio per infezione da microrganismi multiresistenti, allora sarà corretto prescrivere un’ antibioticoterapia a spettro d’azione limitata (es. penicillina, ampicillina, ampicillina/sulbactam, ceftriaxone). In caso contrario, andrà prescritta un’ antibioticoterapia ad ampio spettro d’azione (es. piperacillina, piperacillina/tazobactam, ceftazidime).
CONSIGLIO: per valutare se un paziente presenta FATTORI DI RISCHIO per infezione da microrganismi multi-resistenti, occorre chiedere al paziente se:
- è stato ricoverato nei precedenti 3-6 mesi prima dell’attuale ricovero
- ha assunto antibioticoterapia (>5 giorni) nei precedenti 3-6 mesi
- risiede in una struttura/casa di cura
- esegue trattamento dialitico
- ha eseguito medicazioni di ferite a domicilio negli ultimi 3-6 mesi
- è seguito da un’assistenza domiciliare per patologie oncologiche
Il rischio di presentare infezioni multi-resistenti aumenta all’aumentare del numero di fattori di rischio, ma i primi tre sono quelli maggiormente implicati.
# ANTIBIOTICOTERAPIA – ERRORE N°5
L’errore numero 5 è meno frequente degli altri, ma presenta delle conseguenze gravi. Consiste nel prescrivere un’ ANTIBIOTICOTERAPIA NON EFFICACE NEI CONFRONTI DEL MICRORGANISMO RESPONSABILE. Ma come si può conoscere il battere responsabile dell’infezione prima di avere il risultato degli esami colturali (come le emocolture e l’urinocoltura)?
Occorre valutare quale sia la SEDE DI INFEZIONE o quale sia la SEDE/SORGENTE DI INFEZIONE più probabile.
Identificare la sede/sorgente di infezione, permetterà di identificare con buona probabilità se il battere è un Gram negativo o Gram positivo. A questo punto, si potrà scegliere un antibiotico che sia maggiormente attivo sui Gram positivi o sui Gram negativi, riducendo enormemente la probabilità di errore.
Facciamo un esempio. Se il paziente con febbre settica che stiamo valutando è un paziente in emodialisi tri-settimanale, quale sarà la sede di infezione più probabile? La risposta è il circolo venoso e la cute in contatto con la fistola venosa attraverso cui il paziente dializza. Pertanto, i microrganismi più probabilmente responsabili saranno gli stafilococchi presenti sulla cute. In tal caso, l’antibiotico di scelta dovrà essere altamente attivo verso gli stafilococchi e in particolare verso quelli meticillino-resistenti dato che il paziente esegue emodialisi in ospedale tre volte alla settimana. La antibioticoterapia empirica corretta sarà un glicopeptide (es. vancomicina) o la daptomicina.
Ma se lo stesso paziente non eseguisse emodialisi, ma dialisi peritoneale a domicilio, il suo rischio maggiore sarebbe quello di infezione da Gram negativi, e in questo caso andrebbe iniziato una terapia con un antibiotico altamente attivo verso gli enterobatteri e P. aeruginosa come ceftazidime o piperacillina/tazobactam.
CONSIGLIO: in linea molto generale e con le varie eccezioni del caso, per prevedere quale microrganismo è responsabile di infezione, valgono le seguenti regole:
- le infezioni sovra-diaframmatiche sono causate più frequentemente da Gram positivi e le infezioni sotto-diaframmatiche da Gram negativi
- la causa più frequente di polmonite comunitaria è S. pneumoniae
- la causa più frequente di infezione urinaria è E. coli
- nella polmonite ab-ingestis aggiungere un antibiotico attivo verso gli anaerobi (clindamicina, metronidazolo, piperacillina)
- nelle infezioni dell’anziano, soprattutto se presenti molteplici co-morbilità, i germi più frequenti sono i Gram negativi
- le infezioni post-chirurgiche sovra-diaframmatiche o degli arti sono più frequentemente causate da stfilococchi
- le infezioni post-chirurgiche addominali possono essere causate Gram negativi, stafilocchi, enterococchi e talvolta da Candida species
# ANTIBIOTICOTERAPIA – ERRORE N°6
L’errore N°6 consiste nel PRESCRIVERE UN ANTIBIOTICO PER UN MICRORGANISMO CHE SARA’ MOLTO PROBABILMENTE RESISTENTE a quella molecola antimicrobica.
Questo avviene se non si conoscono i TASSI DI RESISTENZA dei microrganismi che circolano nel nostro ospedale. E’ molto importante conoscere le resistenze antimicrobiche a livello mondiale, europeo e nazionale, ma se ad esempio non si sa che il 60% degli E. coli che circolano nel proprio ospedale è resistente ai fluorochinoloni (come la ciprofloxacina), avremo una probabilità del 60% di sbagliare se prescriviamo la ciprofloxacina per un’urosepsi ospedaliera.
Facendo un secondo esempio, occorre sapere che S. pneumoniae in Italia è resistente in più del 20% dei casi ai macrolidi (es. claritromicina), ed è pertanto scorretto prescrivere un macrolide in mono-terapia per una polmonite comunitaria (CAP).
CONSIGLIO: tenersi aggiornati sui dati di resistenza locale (del proprio ospedale) dei principali germi (E. coli, K. pneumoniae, P. aeruginosa, S. aureus, E. cloacae, E. faecium) che possono determinare infezioni nosocomiali.
# ANTIBIOTICOTERAPIA – ERRORE N°7
L’ultimo errore di questa classifica è piuttosto raro e può capitare soprattutto con antibiotici nuovi, con i quali non si ha ancora una buona esperienza, o con infezioni rare (es. meningiti, endocarditi, osteomieliti) che richiedono un approccio da parte di un clinico esperto. L’errore N°7 consiste nella somministrazione dell’ ANTIBIOTICO GIUSTO, MA CHE NON ARRIVERA’, O NON ARRIVERA’ A DOSI CORRETTE, NELLA SEDE DI INFEZIONE.
E’ il caso, per esempio, di una infezione da S. aureus meticillino-resistente che ha determinato una polmonite bilaterale. Nel caso si scegliesse come antibiotico la daptomicina, si commetterebbe un errore perché, pur essendo attiva verso lo S. aureus, la daptomicina non è attiva nel polmone. Oppure, un secondo esempio, nel caso di una urosepsi da K. pneumoniae ESBL+, l’uso di Tigeciclina non sarebbe corretto in quanto non escreta a livello renale in dosi sufficienti (pur essendo attiva su quel tipo di microrganismo).
CONSIGLIO: sarebbe opportuno chiedere sempre un parere di un esperto sull’impiego di nuove molecole antibiotiche, soprattutto se poco conosciute dal clinico prescrittore. In generale, invece, nelle seguenti sedi di infezione i dosaggi degli antibiotici dovrebbero essere particolarmente elevati per raggiungere concentrazioni battericide e ridurre il rischio di resistenza: osso, SNC, endocardio.
SIAMO ARRIVATI ALLA FINE DI QUESTA CLASSIFICA, che non vuole essere una critica nei confronti dei colleghi non infettivologi, ma piuttosto una GUIDA per migliorare l’approccio al paziente con infezione batterica.
Spero che questo POST ti sia piaciuto. Se è così, CONDIVIDILO con uno dei Social qui sotto e sarai anche tu PROMOTORE DEL MIGLIORAMENTO DELLA PRESCRIZIONE ANTIBIOTICA. GRAZIE!
Un saluto, Andrea.
P.S.: Se hai ancora un minuto di tempo e vuoi sapere come utilizzi tu gli antibiotici, COMPILA IL TEST: è anonimo, immediato e per TUTTI. Ciao e grazie ancora!
Ho trovato molto utile e interessante questo articolo. Faccio la pneumologa e mi rendo conto che in qualcuno di questi errori si può cadere facilmente! Quindi grazie
Cara Esterina, grazie a te del commento positivo. Spero di ritrovarti più avanti in qualche altro post. Buona serata.
Grazie Andrea.
Grazie a te per aver dedicato qualche minuto a leggere questo Post! Spero ti sia piaciuto. Un saluto, Andrea.
Da infettivologo articolo esaustivo e condivisibile in toto bravo
Grazie Massimo, sono molto contento che anche gli amici infettivologi diano valore a questo POST con i loro commenti. A presto e buono lavoro!
Grazie Andrea per la chiarezza e la sintesi. Sarebbe interessante anche un parere sulla terapia “empirica” antifungina con fluconazolo (di cui forse spesso si abusa) in pazienti ospedalizzati a rischio di candidemia (a cui spesso non si pensa). Buon lavoro!
Giuseppe, sono pienamente d’accordo con te. Spero che se ne possa parlare nei prossimi post. Intanto grazie della condivisione e dell’attenta osservazione. Buon lavoro!
Grande idea! Comprensibile a tutti compresi i’non addetti ai lavori’. Chissà che non scoraggi i fanatici degli antibiotici (medici e pazienti ) all’abuso! Secondo me ne vorrebbe inviata una copia ad ogni medico!!!!!
Cara Fernanda, ti ringrazio di cuore di essere intervenuta nella discussione. Ho notato molto interesse nell’argomento e anche senza un invio diretto credo che questo post stia arrivando sulle bacheche di molti colleghi. E il merito va alla condivisione che ciascuno di voi ha fatto nelle ultime ore. Pertanto, GRAZIE A TUTTI!
Complimenti per l’esposizione, sintetica ma molto efficace. Faccio il chirurgo ospedaliero e da tempo cerco di limitare al minimo indispensabile la somministrazione di antibiotici pertanto condivido ed apprezzo questa segnalazione di un collega esperto nel settore. Purtroppo bisogna superare una impostazione culturale e ansiogena che ancora guida molti colleghi ma articoli come questo certamente, contribuiranno allo scopo. Grazie
Mi fa molto piacere, Michele, per il tuo interesse e la tua attenzione nella prescrizione antibiotica. Penso che nei reparti chirurgici occorra davvero una rivoluzione culturale. A presto e grazie ancora!
Articolo notevole sia nei contenuti che nelle intenzioni.
E’ confortante constatare che l’ambiente medico sta mettendo in discussione alcune prassi tanto consolidate quanto superate e inadeguate, e posso immaginare quanto possa essere faticoso andare contro le abitudini e rischiare.
Mi permetto di suggerire l’errore N.8: non prevedere una pratica/terapia di ripristino della flora batterica intestinale diversa dalla semplice integrazione di fermenti lattici – le famiglie batteriche residenti in un intestino adulto, e che supportano un sistema immunitario funzionale e competente, sono solo in minima parte lattobacilli e bifobatteri, viceversa sono famiglie che si instaurano nel tempo grazie ad una ragionevole esposizione allo “sporco” e ad un’alimentazione che garantisca ai batteri abbondanza di “cibo” (fibra solubile e amidi resistenti), condizione necessaria per promuovere diversità batterica (150 specie diverse in un intestino sano) e competizione verso le specie potenzialmente patogene.
Per approfondire questo spunto, da me espresso in modo superficiale e impreciso perché non sono un addetto ai lavori, suggerisco la frequentazione del blog di Art Ayers, un biologo molecolare americano decisamente esperto e brillante che da diversi anni affronta e divulga questi temi.
http://coolinginflammation.blogspot.it/2014/06/antibiotic-resistance-superbugs-and.html
Spero che il mio intervento non venga frainteso e considerato inopportuno.
Ciao Alessandro.
Grazie Alessandro del tuo prezioso contributo. Buon ferragosto e a presto!
Chiaro, conciso, esaustivo.
Buon lavoro e complimenti.
Grazie Luciano! A presto!
Grazie Luciano. Buon ferragosto e a presto!
Sono un farmacista di formazione e faccio l’informatore scientifico e per tanti anni ho lavorato per una multinazionale occupandomi di antibiotici ed anti fungini. Farò tesoro di questi punti quando e se mi troverò a parlare di antibiotici ai tuoi colleghi in futuro.
Grazie
Alberto
Molto bene, Alberto, spero di esserti stato di aiuto. Buon lavoro!
Alberto, spero davvero che questo post ti sia d’aiuto nel “portare” l’informazione sugli antibiotici e gli antifungini. Ancora grazie e buon ferragosto!
Post molto interessante, io studio Infermieristica e sicuramente ne farò tesoro.
Grazie
Grazie mille Ilaria. Buon proseguimento e buon ferragosto!
Ilaria, sono molto contento che anche i professionisti in Scienze Infermieristiche siano attenti a questo temo. Un saluto e buon lavoro!.
Chiaro,anche nelle cause che sono la scarsa praticità nell’insegnante e nei rimedi.
grazie per la preziosa condivisione.da studente ormai prossimo alla laurea sono particolarmente d’accordo con il primo punto.l’infertivologia e la farmacologia non sono affatto insegnate in modo clinico bensì secondo inutili criteri descrittivi.
Hai ragione da vendere quando dici che anche il giorno dopo l’esame non dapresti che farmaco usare in una banale polmonite comunitaria.d’altro canto devo dirti in sincerità che non è facile reperire materiale didattico che usi un tale approccio…
Matteo, ti voglio ringraziare davvero per questa tua testimonianza. Anch’io, durante il corso di Laurea, non ho ricevuto alcuna informazione sul come maneggiare quella che ritengo la classe di farmaci più preziosa e più delicata che noi esseri umani possediamo! Speriamo che le cose possano cambiare presto. Un saluto.
Grazie Andrea! Ho sollevato più volte in reparto la questione e il tuo articolo mi ha chiarito alcuni dei dubbi che avevo.
Sulla questione dell’insegnamento di microbiologia-famacologia mi trovi perfettamente d’accordo, servirebbe concentrarsi meno sugli aspetti biologici e molto di più su clinica e terapia.
ottimo lavoro Andrew, giusto corollario all’impegno quotidiano nella stewardship
Complimentoni. Utilissimo e ben fatto. Si cade spesso in taluni di questi errori, spero dopo questa lettura di non incorrervi più. Colgo l’occasione per porre una domanda: sempre più spesso capita di vedere in ambiente urgentistico ed internistica pazienti spesso vecchi e ipoergici, i cui dati clinici e laboratoristici non sono eclatanti, ma il cui quadro soprattutto considerati i fattori di rischio è suggestivo per infezione sistemica. Comunemente questi pazienti hanno già in basale un IRC non trascurabile. In questi casi quale è l’atteggiamento a tuo parere più ragionevole? Limitarsi nella terapia antibiotica potrebbe dar corda all’agente infettivo, che vista la condizione del paziente potrebbe dar segno di se quando già l’infezione è divenuta grave. D’altro canto forzare fin da subito, magari con cosomministrazioni antibiotiche, oltre a favorire resistenze, potrebbe far precipitare le condizioni del rene. In attesa di lumi ringrazio ancora del brillante post
Credo che tu abbia centrato in pieno il problema, Emanuele! L’esempio che riporti rappresenta una situazione molto comune e che pone dei seri dubbi sull’iniziare o meno una terapia antibiotica (e se si, con che cosa). In linea generale, io credo che se il clinico ritiene di iniziare una tp antibiotica perché sospetta una situazione severa in un pz anergico, sia giusto iniziarla. Per la scelta dell’antibiotico, io consiglierei sempre un’ampicillina protetta (es amoxicillna/clav o ampicillina/sulb) nel pz senza fattori di rischi per MDR, OPPURE piperacillina/tazobactam nel pz con fattori per MDR (evitando un’associazione, salvo segni di sepsi severa). Ne ho accennato anche nel mio ultimo POST sulle infezioni più comuni in ospedale. Cmq grazie Emanuele per lo spunto di riflessione e buona serata.
Complimenti per questo lavoro terribilmente vero e attuale
Io sono un odontoiatra categoria maggiormente additata in termini di prescrizioni “abbondanti” e spesso inutili
In relazione a ciò che scrivi in questo lavoro circa la profilassi ( ad esempio pre avulsione dentaria) qual’è il protocollo più corretto?
Mille grazie
Grazie Manlio. Le linee guida della American Heart Association attuali prevedono la somministrazione della profilassi antibiotica solo nei pz ad ad ALTO RISCHIO DI ENDOCARDITE (valvola proteica, riparazione valvolare con materiale protesico, precedente storia di endocardite, anomalie cardiache congenite). Viene raccomandata UNA SOLA DOSE di antibiotico (in genere amoxicillina/acido clavulanico) da assumere per via orale 1 ora prima dell’estrazione dentaria e nessuna dose successiva. Infine: non è raccomandata una profilassi prima di un’estrazione dentale nei pazienti con protesi articolare o protesi mammaria; è consigliata nella donna in gravidanza ad alto rischio di endocardite; è raccomandata anche nei bambini ad alto rischio. Buona serata e buon lavoro!
Molto utile
Grazie Ilaria, sono contento che ti sia piaciuto. Buona serata.
da anestesista rianimatore … un plauso
Grazie. Mi fa molto piacere che ti sia piaciuto l’articolo. Un saluto. Andrea.
Ciao articolo estremamente interessante, spero che la mia iscrizione sia attivata al pi
presto per poter leggere anche la guida rapida sugli antibiotici!
Ciao.
Grazie per l.mpagabile chiarezza che consente anche a me , medico di medicina generale da oltre 40 anni, un effettivo e indispensabile aggiornamento. Sarebbe oltremodo utile dal punto di vista della appropriatezza e del risparmio, una guida anche per noi medico di prima linea. Quale tutor della medicina generale noto che la capacità di impostare una corretta terapia antibiotica può per alcuni giovani colleghi essere ostacolo insormontabile . Troppa teoria. Troppo poca pratica. Vorrei un chiarimento su un caso di prostatite riacutizzarsi in IRC. Una casuale assunzione e di levofloxacina a 500 mg a giorni alterni ( per errata interpretazione delle istruzioni) può essere stata in grado, senza effetti collaterali, di debellare la patologia in soli 5 giorni?. Grazie
Mario
Ciao Mario. Grazie per il tuo commento. Il caso che tu descrivi, prostatite in IRC, potrebbe sicuramente aver risposto ad una terapia più breve rispetto allo standard. Tuttavia, alcune considerazioni sono necessarie: 1) la terapia fatta dal tuo paziente non è poi così breve, ma deve essere considerata di 10 giorni (proprio per l’IRC); 2) il pz potrebbe non aver avuto una prostatite ma un’infezione delle vie urinarie (ma su questo non mi permetto di esprimere alcun giudizio non conoscendo il caso); 3) potresti essere di fronte ad una risposta parziale della sintomatologia prostatitica che potrebbe riacutizzarsi tra qualche settimana, se appunto non è stato sterilizzato correttamente il sito di infezione. In conclusione, Mario, non penso che 5/10 giorni siano sufficienti per il trattamento di un paziente con prostatite. Un saluto e Buon lavoro! Andrea
Ottimo articolo. grazie
ottimo lavoro
Grazie Anna, mi fa molto piacere che lo abbia apprezzato!!!